“Guardo in direzione dell’altare, sono seduto troppo distante, Cristo nell’affresco è una macchia di colore offuscato dalle mie diottrie e dalla luce che entra dalle vetrate. Dovrei avere il coraggio di pregare. Mi stringo nel giaccone, in un pomeriggio infrasettimanale d’inverno e, nonostante la temperatura fredda della chiesa, fuori è uno di quei giorni in cui è già possibile scorgere, tra le maglie inquinate dell’aria, una premonizione primaverile. Sono nell’abbazia di Pomposa, le navate laterali divise da colonne bizantine. Una dozzina di secoli fa, i monaci benedettini hanno scelto questo appezzamento di terra, deve essere apparso loro come un isolotto fertile, boschi colmi di selvaggina e campi circondati dall’acqua, tra due rami di fiume – il Po di Volano e il Po di Goro – nel pezzo di terra che precede il mar Adriatico. Mi alzo e ascolto il suono dei miei passi sulle preziose piastrelle di marmo dai mutevoli effetti cromatici (…)”.
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Statale Romea/Sabrina Ragucci