di Maria Tiziana Lemme
Hanif Kureishi ha gli occhi come due olive nere, le palpebre fisse e al mignolo della mano sinistra porta un anello d’oro, luccicante. E’ un oggetto spigoloso, una testa di animale che potrebbe, se la mano che l’indossa colpisse col dorso un viso, portar via un pezzo di mascella. L’ultimo libro che ha scritto, pubblicato in Italia da Bompiani, s’intitola L’ultima parola. È la storia di un giovane scrittore, Harry, che deve scrivere la biografia di uno scrittore-icona indiano, Mamoon, ormai anziano, il quale vive nella campagna inglese con la seconda moglie, un’italiana. L’editore cerca lo scoop, la verità nascosta e pruriginosa di un autore ormai in declino, ma che è stato capace di “descrivere alcuni degli uomini più violenti e potenti del mondo”. Harry non si aspetta che la conoscenza con Mamoon si trasformerà ben presto in un incontro sul ring sul quale prevarranno, ma non sempre, saldezza di nervi e amore per i fatti.
Nato a Londra nel 1954 da padre pakistano e da madre inglese, laureato in filosofia, Kureishi è uno dei più affermati scrittori del mondo, tradotto in venticinque lingue. È anche sceneggiatore per la televisione, drammaturgo, si fece regista nel 1991 con London kill me. Suoi argomenti privilegiati sono quelli legati all’emigrazione e all’immigrazione, al multiculturalismo. La celebrità è arrivata quando sceneggiò My beautiful Laundrette, il film di Stephen Friars (1985) che s’è aggiudicato il 50° posto tra le migliori pellicole del XX secolo, secondo il British film institute. Poi, nel ’90 s’è imposto anche come autore con The Buddha of Suburbia, dopo essersi fatto le ossa scrivendo romanzi pornografici.
Cominciamo dagli esordi, dai testi che firmava con uno pseudonimo, Antonia French, oppure Karim. Mi può raccontare quel periodo?
Interessante… Quando scrivevo di sesso lo facevo come per un’operazione letteraria. Perché se si voleva assistere a delle immagini del genere si andava al cinema a vedere, ad esempio, “Il portiere di notte”, oppure i film di Fellini. Erano gli anni Settanta, all’epoca la pornografia si leggeva. Oggi, la pornografia non ha più alcun merito estetico né letterario. È troppo diretta, prevedibile. Rientra negli schemi. La letteratura, invece, dà la possibilità di sorprendere, mentre la pornografia è diventata una prigione.
È in quel periodo che ha scoperto di essere uno scrittore?
No, lo sapevo già da prima. Ci vogliono almeno dieci anni per imparare a essere un artista. Io ho iniziato a scrivere a 16 anni. A 28 già per un film: ci vuole un po’. Ci vuole un po’, per imparare il mestiere.
A un certo punto lei scrive, ne “L’ultima parola”, che l’impero di Murdoch ha cambiato il concetto di vita privata. Può spiegarlo meglio?
Nel nuovo libro metto a confronto la visione che ha Harry della gente, come se fossimo in un tabloid, e una visione letteraria delle persone. Sono a metà fra un romanzo e un quotidiano. Prendiamo, per capirsi, l’immagine che esce dai giornali di un personaggio come Berlusconi e pensiamo a quello che potrebbe fare uno scrittore in un romanzo, sullo stesso personaggio: lavorando sulla complessità, la psicologia, la mentalità, il periodo nel quale vive. Insomma, un libro riflette sull’effetto che ha il linguaggio sul personaggio e sulla sua personalità. Mentre invece forme meno sofisticate, come i tabloid o la pornografia, hanno una visione molto limitata del mondo.
È una volpe o un lupo, la testa dell’anello che brandisce al mignolo?
È un gatto.
Un simbolo egiziano…
Simbolo di che, però?
Sicuramente di potenza, se si pensa che lo porta in testa Atana Potnia, la dea del labirinto…
Ah sì? Non lo sapevo. E che significato ha, il gatto sulla testa?
Significa potere. Atana Potnia è rappresentata con due serpi in mano, il busto nudo, una ricca gonna e un gatto in testa.
Wow! Un simbolo potentissimo!
Ma che storia ha quell’anello?
Me lo ha regalato un amico, il direttore del Cirque de l’immaginaire, sposato con Victoria Chaplin. Io mi occupavo dei suoi conigli, così mi diede un anello con la testa di un coniglio, ma è un anello pericolosissimo. Mette incinta solo con lo sguardo. E allora mi ha fatto fare, dallo stesso artigiano, questo anello con la testa di gatto. Che ha moltissime proprietà. Non le ho ancora scoperte perché il mio amico è francese e io non parlo il francese. Ma dagli occhi di questo gatto si capisce che è un anello molto potente. E ha fortissimi poteri sui giornalisti (se lo sfila, me lo porge, è pesante, due brillanti sono gli occhi, le orecchie sono spigoli aguzzi; quando glielo restituisco, mi dà del tu). E se tu avessi potere su di me, che cosa faresti?
Le porrei una domanda che forse nessuno le ha mai rivolto.
Dai, prova un po’…
Quando, una storia, vale la pena di essere raccontata?
Quando non ti lascia solo, non ti lascia stare. Come scrittore, di idee me ne vengono tante, decine. E mi chiedo sempre: su quale voglio trascorrere i prossimi due, tre, quattro anni? Che cos’ha questa idea che mi fa venire voglia di svilupparla? È facile avere un’idea, molto difficile è realizzarla, portarla a compimento. Però non posso rispondere a questa domanda. Ci sono storie che non ti lasciano, ti attirano e poi ti rendi conto che si racconta sempre la stessa. La storia che troviamo qui è la stessa di My beautiful Laundrette e di Buddha di periferia .
Li considera i capisaldi della sua produzione letteraria, almeno sino a ora?
In parte. A me interessa quello che faccio adesso. Questo libro, il mio film The weekend… Ma in fondo sì, è giusto: non si fa altro che tornare nello stesso luogo…
La solitudine dello scrittore lei la confuta, nell’ultimo libro, descrivendo l’autore come un ingranaggio di una catena di montaggio…
Sì, è giusto. Il processo inizia con una carta e una penna in una stanza. Per fare quello ci vuole tempo e tranquillità. Però sì, magari dopo si trasforma in un film, oppure verrà prodotto, il libro pubblicato. Poi c’è il meccanismo delle librerie, della distribuzione, ma va detto che tutto parte in silenzio e in isolamento. Ci vogliono tempo e spazio per riflettere. Il tempo dello scrittore è un tempo solitario. Anche se in realtà quando scrivi hai la testa piena di persone e personaggi, di persone reali e immaginarie.
L’Ultima parola comincia con l’immagine della Gran Bretagna brulicante di immigrati, “molti dei quali aggrappati ai bordi di un Paese simile a una barchetta sul punto di rovesciarsi”. A Lampedusa, invece, s’è davvero rovesciata una barca con centinaia di immigrati, al largo di Lampedusa. Quale dovrebbe essere il ruolo dell’Europa in riferimento alla migrazione?
Viviamo in un mondo globalizzato. Sappiamo che sono centinaia di migliaia gli italiani che sono andati negli Stati Uniti. C’è una lunghissima storia dell’emigrazione italiana. Se pensiamo al cinema americano è affascinante vedere quanto sia condizionato dall’emigrazione italiana, per esempio il Padrino, o il personaggio preferito dei miei figli, Tony Soprano, è un ragazzo italiano…
Sì, pure Al Capone, Lucky Luciano, Tommaso Buscetta?
Esatto… I più grandi italiani che abbiamo visto…. (ridacchia)
I più grandi italiani in America, dice? E Enrico Caruso?
Sono tutte storie che in fondo non sono nuove. Nella scrittura si può solo prendere atto, e raccontare. In fondo il capitalismo e la globalizzazione sono più potenti dei confini nazionali. È il mercato che determina i flussi dell’emigrazione. Oppure le guerre. Non a caso, dopo ciò che è successo in Siria, milioni di siriani vivono in Libano. Persone che poi andranno in Europa, per cercare altri confini. L’idea dell’estraneo o straniero è un tema letterario molto comune. A volte è proprio dagli occhi di uno straniero che si vedono le cose, che diventano gli occhi della popolazione locale, che non vede. Per esempio il mio personaggio, Mamoon, e sua moglie, li faccio vivere nella campagna inglese… E questa combinazione mi affascinava molto più di quanto potesse farlo una coppia di inglesi.
Altro tema che lei ha trattato è l’islamismo radicale. Amin Maluuf, nel suo libro I disorientati, sostiene che il XXI secolo sarà caratterizzato da due calamità: l’islamismo radicale e l’anti-islamismo radicale. Si trova d’accordo?
Well, abbiamo già visto l’islam radicale, Maluuf non ci dà una notizia fresca. Ma è interessante che parli di una reazione fascista contro i gruppi religiosi, che già abbiamo visto in Russia: forti movimenti antiomosessuali, antiminoranze. Il fascismo si sviluppa sempre in presenza di una catastrofe o di un sottosviluppo economico. Anche in Inghilterra c’è stato un forte movimento antiomosessuale e un fortissimo movimento anti-immigrati. Ma è affascinante vedere come i due gruppi, cui si riferisce Malluuf, si assomiglino moltissimo. L’ideale dell’obbedienza della ‘famiglia’, li ritroviamo sia nelle forme dell’islam che nelle forme del fascismo. Alla fine, è un’unica calamità.