Riporto a memoria un dialogo che ascoltai molto tempo fa a teatro nel corso di una commedia, forse tedesca. Ricordo bene la scambio di battute tra un commissario, tempestivamente accorso sulla scena del crimine, e una testimone. La donna, appartenente all’aristocrazia locale, gli offre gentile un drink, per poi fermarsi di colpo imbarazzata: “Scusi, dimenticavo, mi perdoni: so che per voi è vietato bere in servizio – No signora, al contrario, la prego”, risponde rassicurante il poliziotto: “Noi beviamo soltanto in servizio. Fuori, purtroppo, non possiamo permettercelo”.
Tenevo a ricordare questo aneddoto, perché spiega perfettamente il senso dei miei viaggi professionali: fuori del lavoro, purtroppo, non potrei permettermeli. Sono queste, insomma, le premesse del mio recente soggiorno in California. Invitato per quattro conferenze all’Università di San Francisco (Stanford) e all’Ucla (University of California, Los Angeles), oltre che negli Istituti di Cultura delle rispettive città, ho costruito attorno a queste lezioni (parziali, seppure benemerite occasioni di rimborso) un itinerario in auto durato all’incirca un paio di settimane. Di spostamenti, del resto, posso dire di intendermene: non per altro, ho compiuto venticinque anni di docenza fuori sede. Mi sono dunque recato in California per festeggiare le mie nozze d’argento con il pendolarismo e con le mie mansioni di “Vu ‘mparà” – la definizione più calzante finora escogitata per indicare il professore fuori sede, che va portando in giro, di cliente in cliente, mercanzia cognitiva a poco prezzo. Ma eccoci al diario (…)
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