Una volta che i tuoi deputati (l’avrebbero fatto anche i senatori) hanno garantito col voto sulla parentela di una ragazzina marocchina con l’ex leader egiziano Mubarak, gli puoi far fare qualsiasi cosa. Se il capo, condannato con sentenza definitiva per frode fiscale, chiede loro, personalmente, di dimettersi il giorno in cui la Giunta per le elezioni di Palazzo Madama voterà la sua decadenza da senatore, loro eseguono senza discutere, di modo che il cavallo di Caligola si trasformi, in Senato, in 87 ciucci (tanti sono i senatori che ad oggi, 27 settembre, su 91 totali, hanno consegnato all’ufficio di presidenza del Senato una lettera di dimissioni). Come se non bastasse e il mondo non procedesse già al contrario, i capigruppo alla Camera e al Senato, Schifani e Brunetta, continuano a gridare al colpo di Stato, soltanto perché si vuole dare seguito a una sentenza e applicare una legge. Il capo, intanto, assume toni duceschi, come da propaganda elettorale: “Molti nemici, molto onore”, ha detto. E i nemici sarebbero la magistratura tutta, il presidente Napolitano, indisponibile a concedergli la grazia per la pena accessoria (l’esclusione dai pubblici uffici), probabilmente anche il premier Letta, che pure continua a governare con un partito guidato da un pregiudicato. La politica italiana non ha mai toccato il ridicolo come in questi giorni, ma la situazione non suscita ilarità. Il sentimento che prevale è di amarezza: gran parte del Parlamento è fatta da automi, meri esecutori che non hanno un’idea di dignità, ai quali sta bene perfino essere giudicati delle nullità e la cui sorte è legata a filo doppio a quella del capo. Per avere una prova della considerazione che quest’ultimo ha di loro basti pensare che alla Camera l’onorevole Brunetta ha fatto distribuire lettere prestampate per le dimissioni, lettere che i due terzi dei deputati hanno diligentemente sottoscritto e consegnato all’onorevole Mara Carfagna, nell’inedito ruolo di “capoclasse”. Chi non va più a votare non è mosso da un sentimento di antipolitica. Non vota perché è sfiduciato. La fiducia non è quella che nei prossimi giorni si dovrà presumibilmente dare al governo Letta e che, in un caso o nell’altro, porterà a un’altra farsa; la fiducia – come diceva quel Carosello – è una cosa seria, che si dà alle persone serie. I ciucci di Berlusconi non lo sono.