Mauro Guglielminotti intervista Stefano Snaidero, autore dell’immagine di copertina di Reportage n.14
Stefano Snaidero è un fotografo veneziano che vive e lavora a Roma occupandosi da sempre di fotografia di viaggio e sociale; freelance, ha lavorato per importanti agenzie e pubblicato su numerosi quotidiani e riviste.
Stefano, raccontaci la copertina di questo numero di Reportage, il 14. Di cosa si tratta?
Come sai quest’anno ho seguito il Kumbh Mela, il grande evento religioso indù, e l’immagine è relativa al primo bagno rituale . La foto è stata scattata due sere prima il primo Snan, o bagno rituale, previsto dal rito canonico del Maha Kumbh Mela. Il bagno di apertura si tiene il 14 gennaio in coincidenza con la festività di Makar Sankranti ed è appunto il primo dei bagni rituali previsti dal Kumbh Mela che si protraggono per due mesi fino al 10 marzo. Quell’immagine è di due giorni prima, quando arrivano le carovane dei pellegrini da tutta l’India: è interessante notare che queste carovane rappresentano lo stato dell’India attuale, un tempo infatti arrivavano solo su animali sacri, cammelli, asini, cavalli, ogni sorta di mezzo naturale, mentre adesso arrivano con suv, mercedes, trattori e solo alcuni arrivano ancora con elefanti. L’immagine scelta è la più tradizionale, ma la cosa interessante è vedere l’arrivo delle persone in questo mix, capire come con le differenze della società attuale un rito secolare si sia adattato ai tempi che corrono, aggiornandosi in certi aspetti ma rimanendo fedele al passato.
Tu hai una formazione di fotogeografo e fotogiornalista e questo servizio si inserisce perfettamente in questo percorso e nei tuoi interessi. Ma che possibilità vedi oggi in un lavoro di questo genere?
Certo, ci sono state alcune difficoltà legate alla realizzazione di questa immagine, in primis l’assenza di una commissione iniziale perché sebbene il tema abbia un valore abbastanza universale, il più grande rito religioso al mondo, e quindi abbia senso raccontarlo, tutti i giornali ne hanno parlato ma soltanto dopo, è come se si arrivasse sempre in ritardo, più per problema di mezzi, di risorse che di volontà. E’ interessante il modo come sono andato a fare questo lavoro, in mancanza di un commissionato a priori, io ci sono andato come insegnante di workshop e all’interno di questo insegnamento c’è stato lo spazio anche per me per realizzare delle immagini.
Partendo dal tuo lavoro di formatore, come vedi il rapporto con i fruitori della fotografia adesso e in un prossimo futuro visto che ci diciamo tutti che c’è la crisi, le foto si vendono sempre meno a minor prezzo, purtuttavia c’è una quantità impressionante di immagini…
Questo esempio per me rappresenta proprio quello che è oggi il rapporto con i lettori : vista la difficoltà del mezzo editoriale, molti fotografi, il crowfunding ne è un esempio, si rivolgono alla sorgente primaria, ai lettori, ovvero li intercettano direttamente e magari con loro stessi, come è il mio caso, vanno sui luoghi di esecuzione delle immagini e realizzano il loro lavoro condividendo da subito quello che sono le loro idee le loro impressioni,il contatto con chi andrà a leggere, a vedere , è già avvenuto. E poi io cambierei la parola « crisi » in « cambiamento », non in accezione solo negativa…
Certo, crisi in senso etimologico…
Ci sono delle prospettive, sicuramente sta cambiando tutto quanto, molto rapidamente e ha colto all’improvviso . E’ ovvio che i prezzi danno un segnale negativo, ma mai come oggi le immagini vengono utilizzate copiosamente: un esempio è facebook ove circa il 70% della comunicazione sono immagini.
Questo significa che i mezzi che si devono utilizzare per continuare a fare un lavoro di racconto, informazione, intrattenimento, denuncia sono semplicemente cambiati. C’è sempre un grandissimo interesse per questi argomenti, l’immagine ha un potere esclusivo, continua a essere universale ma sono cambiati gli strumenti per veicolarla, quindi ora il problema è scoprire quali sono quelli migliori.
Migliori in senso assoluto e individuale, ovvero migliori per il tipo di messaggio che si vuole trasmettere ma anche in funzione di un lavoro professionale del fotografo?
Ci sono problemi di diritti, di etica, problemi che si vengono a instaurare con mezzi nuovi, molto più difficili da controllare. Un conto era parlare con un photoeditor, oggi capita che scrivi una mail a uno e il giorno dopo te la trovi su settanta siti senza capire perché. E’ una sfida che mai come oggi siamo stati chiamati a affrontare : i fotografi formatisi negli ultimi 20 anni si sono formati con l’idea di voler viaggiare nel mondo, in una dimensione esclusiva, ora invece il mondo è venuto incontro a noi e gli stessi fotografi in qualche modo se ne lamentano. Ma andava capito prima questo cambiamento. La crisi è di chi pensa che sia possibile partire, passare un mese in india pagato da un unico giornale. Questo è finito da un pezzo.
Io viaggio molto di meno, nel senso di spostamento fisico da Roma a città lontane, pero’ non smetto mai di viaggiare come atteggiamento, semplicemente non avendo mai rinunciato a farlo in questo tempo di silenzio -prima si pubblicava molto di più- ho utilizzato questo tempo per trovare strumenti nuovi e alla prima occasione utile consolidarli.
Formazione, corsi, contatto con posssibili utenti in maniera differente dal passato, ma visto che siamo su una rivista, quale pensi sia l’importanza delle riviste, indipendentemente dall’aspetto web o cartaceo?
Gli stessi fotografi, nella fattispecie gli studenti, hanno la necessità, la voglia e il bisogno collettivo di rivedere il loro lavoro attraverso lo strumento editoriale e con le scelte giornalistiche del caso, al di là della questione didattica.
Parlando invece di libri e riviste esclusivamente digitali, eventualmente autoprodotte, data ormai l’ottima qualità tecnica e il relativamente basso costo, cosa pensi?
Ancora faccio difficoltà a non pensare l’immagine stampata come lo strumento assoluto, vedo ragazzi che hanno ventanni o anche meno, quindici, che vengono ai miei corsi, e neanche immaginano il loro lavoro stampato. A volte ti senti un dinosauro in questo universo e è difficile da accettare. Chiaro che se tutti guardano in quella direzione il fotografo puo’ fare una scelta o di eremitaggio o di automodellazione in questa direzione: se la priorità è il messaggio e c’è la volontà di comunicarlo, se il mondo lo accetta in un determinato modo pur di comunicarlo segui quella strada, se invece vuoi fare un discorso differente ti isoli in un tuo universo di un’altra natura.
Ma il contraltare è che vedo anche giornali che continuano a avere successo, nei corsi che tengo vanno a ruba corsi di fotografia analogica, stampa da negativo, anche nei più giovani, non posso essere io a dire che è finita quella parte li, gli esempi che mi circondano mi dicono questo, pero’ devo dire che io vivo a roma, in una realtà in fondo provinciale, non sono un giovane ventenne degli Stati Uniti, il mio punto di osservazione è fortemente limitato.
Pero’ vedi i giovani, come già detto ti occupi di insegnamento, cosa pensi del loro modo di «far fotografia» ?
In generale dal punto di vista dell’apprendimento e della lettura c’è una stanchezza di fondo nella lettura attraverso internet, la fruizione è molto più rapida, immediata, ormai le gallerie di immagini che funzionano sono di massimo dodici foto, e già alla sesta le persone si stancano; eppure la foto non è un video, anche se si sta andando verso la fruizione rapida di fotogrammi in sequenza. E forse internet non è il mezzo perfetto per la fotografia .
Finisco con questo : gli ultimi mezzi tecnici stanno spingendo i fotografi verso il video anzi molti stanno iniziando a balenare l’idea che girando un video tanto poi si estrapolano le foto, quindi a quel punto è puro web.
E’ il problema di facebook, della visibilità a ogni costo, bisogna essere perennemente visti, senza filtri, è un problema di « identificazione » che vedo nei ragazzi, scattano e pubblicano, scattano e pubblicano… se fosse stato cosi quand’ero io ragazzo sarei stato miliardario se quelle pubblicazioni avessero avuto un valore… in definitiva vedo un enorme bisogno di «parlare» di «affermare» e una scarsa capacità di «ascoltare».