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“Adrian, il figlio di Luigi Di Ruscio, il grande poeta deceduto nel febbraio del 2011, abita in una periferia di Oslo molto ordinata e silenziosa, come tutta la città un po’ orwelliana. Lì senti più che altrove il clima esistenzialistico di “Fahrenheit 451”, il romanzo di Bradbury, ma soprattutto del film che ne ha tratto Truffaut. Non è solo una questione visiva, credo, ma uditiva. I rumori sono sempre nitidi, i grandi spazi li rendono acusticamente più distinguibili, come quello dello sferragliare delle rotaie di un treno in arrivo alla fermata della metropolitana di Rodtvet, sulla linea 5, vicino a un grande penitenziario. Il treno, che è sempre perfettamente in orario, si ferma all’aperto e sono pochi a scendere e altrettanto rari quelli che salgono. Quando le porte scorrevoli si chiudono implacabili, la gente s’è già incamminata veloce lungo il marciapiedi che costeggia un’arteria stradale a largo scorrimento (…)”