La “vera” morte di Gianni Brera vent’ anni dopo
di Fernando Acitelli
Gianni Brera si congedò dalla vita in un modo assai distante dal tepore e dall’ortografia. In vero egli non avvertì da lontano l’ala dell’imbecillità di cui parlò Charles Baudelaire che sentì nella mente un vento strano, un’ostruzione cerebrale, ovvero l’annuncio del colpo apoplettico. E non si trattò neppure d’una morte alla Céline, improvvisa, o lenta, alla Papini, o diluita in un cronico riposo, alla Vincenzo Cardarelli per intenderci, incappottato anche d’estate e diviso tra il bar Aragno e il Doney di via Veneto. Nulla di tutto questo. Per Brera si trattò d’un incidente stradale nella notte del 19 dicembre del 1992. Era da poco entrato nella nuova stagione della vecchiaia, segmento di tempo in cui si prende residenza anche con piacere perché si sa come un simile scenario possa essere anche fruttuoso e ricco di intuizioni da allestire. Egli morì dunque fuori di casa, lontano dal tepore d’un perimetro sicuro e sacro. Certamente, l’essere di ritorno da una cena con amici promuove l’idea che un tepore da focolare doveva essere stato in lui. Dunque era stato sereno anche in quell’ultima serata in trattoria. Chissà su quale argomento stavano discutendo i tre amici sulla strada infida e nebbiosa… Sul Catenaccio, sul Sistema, sul Milan di Sacchi? Poi lo schianto. Secondo me, non si trattò di una morte “alla Gianni Brera”. Per lui, infatti, avevo sempre pensato ad un congedo magari anche improvviso, ma in un ambiente ricamato di tepore, tra i suoi libri, la sua quiete, le sue metafore con cui allestire giochi e giocate.
Ho sempre composto nella mente un’altra morte per Gianni Brera; non lo schianto, le lamiere, la polizia, le ambulanze, la pioggia, l’interruzione stradale, quanto un accadimento lieve, un transito neppure percettibile, addirittura un ritrovamento in terra visto che non s’era udito nulla di quel congedo. La morte, per me, non avrebbe potuto coglierlo fuori di casa, me la figuravo in tarda mattinata, nel mentre lui era intento a riordinare le carte, gli inediti, e a programmare quanto era da scrivere per quei giorni. Dunque, il suo lieto girovagare, anche spensierato, visto che quella mattina ha in mente qualcosa sull’avventura dell’Italia ai Mondiali negli Stati Uniti d’America nel 1994. Manca ancora un anno e mezzo a quella data, ma le intuizioni vengono all’improvviso e le si deve fermare subito sulla carta altrimenti, non disponendo più della giovinezza, si dissolvono subito. Dovrà egli partire da lontano per sentire come attenuato, assorbibile quell’evento… L’evento mondiale nel paese del soccer; nel paese delle grandi contraddizioni tra la sbandierata idea di democrazia e la quotidiana rappresentazione degli squilibri, delle ingiustizie, del male. Ecco, sarà bene, dunque, rinfrescare la mente sul concetto di democrazia ateniese, ad esempio, e poi sulla strategia dell’Impero romano da cui molto hanno preso i politici, gli storici e gli strateghi statunitensi. Un bel giro per casa a cercar libri… la democrazia in Grecia più che in America: Pericle, Platone, Aristotele più che Tocqueville. Eccolo dunque avanzare, superare ambienti fino ad arrivare nel suo studio dove le pareti sono tutte tappezzate di scaffali. Raggiunto il settore – tutta in sequenza la Storia e la Filosofia – ecco che estrae da quello scrigno sopraelevato alcuni libri e con essi s’avvia verso lo scrittoio. Il Natale è alle porte e si respira non soltanto in casa ma tutt’intorno una felicità con conseguenze emotive. Lui è in giacca da camera a somigliare un poco al Maigret-Cervi televisivo. Incomincia così a distendersi placidamente su quei mondi dissolti che più non conta i suoi anni ma viene quasi aggredito da una strana gioia di vivere. Eccole, appunto, le conseguenze emotive della felicità natalizia. Ripete tra sé: “Nel 1994 avrò settantacinque anni ma quello negli Stati Uniti non sarà il mio ultimo mondiale… Voglio seguire quanto un giorno disse quella vecchia volpe di Liddas: ‘Morirò sui campi di calcio…’ Ecco, esattamente, quella sarà il mio giusto congedo…”. E’ felice per questa improvvisa illuminazione e la serenità dilaga ed egli s’avverte come un filosofo con ancora tante profondità da cogliere e comunicare. Non contento dei volumi presi, si alza e raggiunge di nuovo lo scaffale; adesso sono i volumi di Aristotele che avverte necessari, un vero sistema difensivo, un catenaccio autentico contro le aggressioni della vita. Trae dalla nicchia riservata alla Filosofia Antica l’opera omnia di Aristotele e con essa s’avvia di nuovo al tavolo di lavoro.
Adesso può iniziarla esemplarmente la ricognizione interiore sulla vita e così, a leggere Aristotele e a sfogliare Tucidide e ad immergersi in Senofonte e Teofrasto, ecco che il sereno e la felicità che sente sono talmente intensi che di nuovo coglie nella mente quanto avvertito poco prima, ovvero “una strana gioia di vivere”. Osserva la sua macchina da scrivere; sente l’urgenza, dopo poche righe lette, di passare immediatamente a quel ricamo interiore che lo sta felicemente braccando, ovvero un commento di dieci righe per ogni sfida memorabile del calcio mondiale. Non potrà uscire da quel box di dieci righe ed il bello sarà che su quella pagina traccerà anche il disegno tattico, ad esempio come si schierò l’Uruguay contro l’Argentina nel campionato del Mondo del 1930. Così dalle Elleniche di Senofonte, nel passo 13: “Frattanto Ciro mandò a chiamare Lisandro perchè era arrivato il messaggero inviatogli dal padre a riferire che il sovrano malato lo chiamava presso di sé, a Thamneria di Media, al confine con il territorio dei Cadusi, dove si trovava per una spedizione contro questa popolazione in rivolta”. Con uno scatto s’alza dalla sedia e arriva all’altro tavolo dove è sistemata l’Olivetti Lettera 32 e lì, inserito il foglio, subito compone a schema le due formazioni. Le ricorda a memoria e questo perché a Montevideo è stato proprio il suo Uruguay a trionfare.
Composte le formazioni sul foglio, inizia a sognare; in vero, vorrebbe essere lì, nello Stadio del Centenario, in campo e non sugli spalti e così porle un paio di domande ai vari Andrade, Mascheroni, Stabile, Monti. Quindi cerca di fare ordine tra le innumerevoli sensazioni che lo assediano: dovrà trattarsi di dieci righe nelle quali esalterà la vittoria dell’Uruguay. Sfoglia vecchi giornali, passa in rassegna i volti; diversi di quei calciatori delle due Nazionali hanno giocato anche in Italia e, tra questi, l’argentino Luisito Monti è stato anche campione del Mondo nel 1934 con la maglia dell’Italia. Osservando delle fotografie, inizia a immaginare Montevideo e vede uomini in strada, impeccabili, lustri e imbrillantinati; e un poco si rivede in quegli anni ’30 che laggiù sembrano un piccolo paradiso senza guerre. Quindi sente l’esigenza di tornare allo scrittoio. La lampada lì è accesa ed è un bene visto che fuori il tempo è piovoso ed egli sente che è un lusso starsene al riparo, nel tepore esteso del pensiero. Per un attimo s’avverte distante da tutti i mali del mondo. E’ felice ma ha quasi paura a ripeterselo. Allo scrittoio il libro aperto di Aristotele è la Politica. Inizia a sfogliarlo; quelle pagine di mondi lontani lo proteggono, gli permettono di scansare tutti quei filmati sul cosmo in cui si parla di modernità, di tempeste solari, buchi neri e universo in espansione. Che angoscia a sentire tutte quelle spiegazioni! Sembra che anche ogni metafisica in quegli scenari si frantumi. Tutte queste parole gli fanno avvertire più esile la vita e chi è giunto a settantatrè anni dovrebbe evitare simili documentari scientifici perché sembrano dissolvere in un attimo tutto il sapere che l’uomo ha scritto e custodito sulla Terra. Dunque Aristotele e poi, se sarà necessario, tutti gli altri, Platone, Socrate, i presocratici e tutti coloro che, pur temendo il divenire, lo attraversavano non sapendo nulla delle teorie quantistiche e della Tecnica che sa distruggere anche il sogno di Dio.
Riprenderà a breve le dieci righe sulla vittoria dell’Uruguay, adesso è necessario cercare qualche parola esatta in Aristotele; successivamente, per eventuali esigenze metafisiche e sulla nascita del mondo, prenderà in mano il Timeo di Platone. Adesso la Politica di Aristotele gli è necessaria per quel discorso sulla democrazia cui tanto tiene: i mondiali negli Stati Uniti nel 1994, ricordiamolo. Così inizia a leggere: parte bene, l’occhio è svelto, lucida la mente; è calmo, è sereno; diffusa nello sguardo si mostra la tranquillità per ore e giorni custoditi. Sfila il tempo e ad un certo punto egli giunge al passo: “9. Ora bisogna determinare quali caratteristiche sono attribuite all’oligarchia e quali alla democrazia e che cosa sia la giustizia per l’oligarchia, che cosa per la democrazia. Tutte e due arrivano a una qualche giustizia, ma a una giustizia parziale, essendo entrambe incapaci di determinare che cosa sia giusto in ogni caso e in senso pieno. Per esempio si direbbe che la giustizia è costituita dall’uguaglianza; il che è vero, però non sempre, solo quando si tratti di rapporti tra uguali. Pare che la giustizia consista anche nell’ineguaglianza; e anche questo è vero, ma non per tutti, bensì solo per quei casi in cui si abbiano dei rapporti tra ineguali. Alcuni prescindono dalle persone che entrano in rapporto e perciò giudicano male. Gli è che il giudizio verte su loro stessi e in genere si è cattivi giudici quando si è parte in causa”.
Bene, s’arresta, bellissimo quell’ultimo passo. Solleva lo sguardo, guarda fuori: è iniziato a nevicare e la gente sarà felice. Poi si sposta con gli occhi sul piccolo albero di Natale che affresca un angolo di quel suo studio. Ne ammira le intermittenze colorate: rosse, blu, verdi. Le intermittenze, un miracolo. Così pensa alle pulsazioni cardiache, bel paragone, non c’è che dire. È un attimo: sorride, guarda la neve fuori, mancano sei giorni al Natale. Un lungo sospiro e la fronte plana sul libro aperto di Aristotele. Tutto è calmo, tutto è lieve. Di là, nessuno s’è accorto di nulla. Gianni Brera s’è congedato dalla vita lievemente. Senza dirlo, ha pronunciato dei versi di Giorgio Caproni: “Scendo. Buon proseguimento”.