Si racconta di Tano D’Amico che un giorno sotto una tazza di caffè, adagiata su un centrino, offertagli da occupanti di case sgomberati, trovò una busta chiusa. Aprendola, si accorse che c’era del denaro. Era il 1974, ad offrirglieli erano state quelle persone che lui stava ritraendo con la sua macchina fotografica nella loro lotta disperata per evitare di finire in mezzo a una strada, nella borgata romana di Castelbruciato. Gli chiedo se sia vero, lui conferma e aggiunge che quel gesto gli cambiò la vita perché “mi ero ridotto alla fame per seguirli e loro, pur non avendo nulla, vollero aiutarmi. Lì capii che ero riuscito ad aprire un varco nei loro cuori e che non sarei più potuto tornare indietro nel mio lavoro”. Basterebbe questo aneddoto a spiegare verso chi ha volto lo sguardo questo fotografo nato a Filicudi settant’anni fa e approdato sulla terraferma per raccontare le lotte sociali, le persone, i movimenti, rivoluzionando il modo di fare fotoreportage sociale. Sono sue quasi tutte le foto che hanno fatto la storia degli anni ’70. Se si pensa agli sgomberi delle case occupate della borgata di San Basilio a Roma viene spontaneo associarli a quelle donne che con insolenza fronteggiano dei ragazzi dai volti meridionali, non meno proletari di chi sta loro di fronte, e in un unico colpo d’occhio sono riassunti il Pasolini di Valle Giulia e quello di Mamma Roma (…)